Da “little Big italy” alla certificazione di italianità dei ristoranti all’estero.

In Food&Wine by admin6105

Chissà cosa penserà Francesco Panella, ristoratore e conduttore della fortunata serie “little Big Italy” in onda sul canale 9. Il format è molto semplice: decretare il miglior ristorante italiano in una località estera, attraverso il suggerimento di tre locali da parte di altrettanti expat italiani. Il gruppo, insieme a Francesco Panella, si reca per pranzo in ciascuno dei tre ristoranti e vota con una valutazione da 1 a 5 gettoni. Innanzitutto, con il “voto d’impatto“, un giudizio in base alle prime sensazioni che hanno del locale, per proseguire con la preparazione di tre diverse portate: il piatto scelto dalla persona che ha selezionato il ristorante, il piatto forte dello chef del ristorante e la voglia fuori menù desiderata da Panella; a ciò, nella parte finale del programma, si unisce il voto di “italianità” assegnato da Panella con una valutazione da 1 a 10.  Chi vince, potrà fregiarsi del titolo di miglior ristorante italiano di Little Big Italy. 

La legge 206 del 2023, nota ormai come legge del Made in Italy, entrata in vigore il 15 gennaio 2024, ha introdotto la “certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero” che altro non è che un “bollino” di italianità rilasciato da un ente di certificazione accreditato presso l’organismo unico di accreditamento nazionale italiano. 

Ma vediamo più nel dettaglio. 

L’articolo 34, rubricato come “certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero”, al primo comma così recita

Al fine di valorizzare e sostenere gli esercizi di  ristorazione che operano all’estero con un’ offerta enogastronomica effettivamente conforme  alle  migliori  tradizioni  italiane   e   di   contrastare l’utilizzo speculativo della pratica dell’italian sounding sia  nella preparazione delle vivande sia nell’impiego degli ingredienti  e  dei prodotti, è istituita la certificazione  distintiva  di  «ristorante italiano  nel  mondo»,  attribuita,  su  richiesta,  ai   ristoratori operanti  all’estero.  La  certificazione,  previa  verifica  che  il titolare dell’attività, il coniuge, i parenti entro il primo grado e gli eventuali soci non siano incorsi in condanne per alcuno dei reati di cui all’articolo 51, commi  3-bis,  3-quater  e  3-quinquies,  del codice  di  procedura  penale,  è  rilasciata,  su   richiesta   del ristoratore e con oneri  a  suo  carico,  da  un  ente  certificatore accreditato presso  l’organismo  unico  di  accreditamento  nazionale italiano, sulla base di un  disciplinare  adottato  con  decreto  del Ministro  dell’agricoltura,  della  sovranità  alimentare  e   delle foreste e del Ministro  degli  affari  esteri  e  della  cooperazione internazionale, di concerto con il  Ministro  dell’economia  e  delle finanze, con il Ministro delle imprese e del made in  Italy,  con  il Ministro della salute e con il Ministro  del  turismo,  nel  rispetto della  normativa  dei  singoli  Stati   in   materia   di   requisiti strutturali, organizzativi, produttivi e di  immagine  dell’esercizio di ristorazione nonché’ di schema di certificazione. Il  disciplinare determina i requisiti e le caratteristiche necessari per il  rilascio della certificazione stessa, con particolare riferimento all’utilizzo di ingredienti di qualità e di prodotti appartenenti alla tradizione enogastronomica italiana, a  denominazione  di  origine  protetta,  a indicazione  geografica  protetta,   a   denominazione   di   origine controllata, a denominazione di origine controllata e garantita  e  a indicazione geografica tipica nonché’ al  rispetto  della  tradizione gastronomica italiana e alla  conoscenza  della  cucina  italiana  da parte del personale impiegato nell’attività di ristorazione”.  

Possiamo subito notare come gli obiettivi di tale norma siano duplici: sostenere i ristoratori italiani nel mondo, e contrastare il così detto fenomeno dell’Italian Sounding. 

Come ci ricorda Raffaella Saso, nel suo articolo “Le nuove forme di Italian Sounding. Ciò che il cibo non dice. Le responsabilità dei produttori e i diritti dei consumatori”, esso consiste “nella commercializzazione di prodotti non italiani con l’utilizzo di nomi, parole, immagini che richiamano l’Italia, inducendo quindi ingannevolmente a credere che si tratti di prodotti italiani. Si tratta di una forma di falso Made in Italy molto diffusa in àmbito internazionale nel settore agroalimentare, nel quale il nostro Paese può vantare, in modo universalmente riconosciuto, una grande varietà di eccellenze”.  

L’articolo in commento, quindi, avendo dichiarato tali finalità, individua come soluzione il rilascio di una certificazione, esclusivamente su richiesta di parte, dopo aver valutato la sussistenza di due requisiti: uno di onorabilità, e uno prettamente tecnico rilasciato ad un disciplinare di emanazione ministeriale. 

I requisiti di onorabilità, tra l’altro, sono richiesti non solo in capo al richiedente ristoratore, ma anche in capo a “il coniuge, i parenti entro il primo grado e gli eventuali soci”, i quali tutti dovranno dimostrare di non essere incorsi in condanne per i reati compresi nell’articolo “51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies,” del codice di procedura penale. 

Si tratta dei delitti “consumati o tentati” in forma associativa ex articolo 416, finalizzati ai reati di riduzione in schiavitù, tratta di persone e traffico di organi prelevati da persone vive, dei reati relativi alla normativa sull’immigrazione, dei delitti commessi avvalendosi delle modalità di stampo mafioso, i delitti previsti dalla normativa sulle sostanze stupefacenti (articolo 74 drp 309/1990), il delitto associativo finalizzato al contrabbando di tabacchi lavorati esteri di cui all’articolo 291 quater del TU legge doganale, i reati di terrorismo, i reati di pedo pornografia e violenza sessuale.  

In attesa di sapere quali saranno i requisiti tecnici per ottenere la certificazione di “italianità”, non ci resta che affidarci, ancora per poco, a Francesco Panella.